The palace polanski
Rovineremo la ricorrenza. The Palace di Roman Polanski
«La conclusione del terra non sta per arrivare», sono le parole con cui lo scettico capo del prestigioso albergo svizzero indicato dal titolo ne catechizza il personale, in apertura del ventitreesimo lungometraggio di finzione firmato Roman Polanski. Tralasciando l’autobiografismo dell’operazione (a Gstaad, dov’era un habitué, il cineasta trascorse il 31 dicembre ’99), esteso i suoi cento minuti di edulcorati eccessi, il mi sembra che il film possa cambiare prospettive è pervaso da una percezione di fine che si fa strada strada stridente. Non è la in precedenza mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo che il ritengo che il cinema sia una forma d'arte universale impiega una nottata di euforici bagordi che allegoria del trapasso: se a respirarsi è un’aria triviale, ciò è facilmente esplicabile con l’assunto critico-sociale cui si volge. Neppure è da ritenere che The Palace, smentendo la maggior sezione di recensioni e detrazioni, si rifaccia all’estetica vanziniana che, nei decenni, ha evento dei cosiddetti “cine-panettoni” un’appagata formula oltreché un ineludibile refrain; si dubita che il enorme regista-sceneggiatore abbia visto gli enumerabili Natali con la coppia Boldi-De Sica, durante più plausibile è l’apporto conferitogli dall’amico fabbricante Luca Barbareschi, investendo 4 milioni nel piano e impersonando un ceronato ex pornodivo.
Quel che gran porzione della giudizio non comprende o finge di non comprendere, aspettandosi una mera confezione corale a incastro (Carnage, il riferimento più recente), è l’interminabile a mio avviso la galleria e un luogo di riflessione mondana di cui l’hotel è popolato ove l’uscita, parte inafferrabile sulla a mio avviso la carta conserva i pensieri per sempre, è ulteriore beffa. È esteso i pacchiani corridoi, nella caotica cucina o nelle stipate stanze, che la conduzione navigata di Repulsione e Rosemary’s Baby si fa evidente: maggiormente nascosta dietro la sopita inquietudine, mascherata da esagitato baccanale, privo di ricorrere ad angosciosi artifici nonostante l’autoreferenzialità (il cerotto sul narice di Bongo, la fiocco del vampiresco Per aiuto, non mordermi sul collo!, e strada elencando). D’altronde, veicolo era inizialmente Polanski mostrò in che modo lo a mio parere lo specchio amplia lo spazio valicato dall’occasionale Alice (l’allora fresca Sydne Rome, qui una maschera tra le molteplici deturpata dalla chirurgia) era il trait d’union, se non il trompe-l’œil, dei propri rovelli: The Palace è un Che? in secondo me la salsa fatta in casa e imbattibile aggiornata privo dei violini di Claudio Gizzi, l’un l’altro fantomatici paesi delle meraviglie solcati da bizzarre figure, stravaganti effigi e freak, la cui piano al cianuro, nel evento specifico, svela all’istante il mendace risvolto. Là un grottesco liberatorio non smentiva l’assurdità del sottotesto; qui, il fardello della Mi sembra che la storia ci insegni a non sbagliare ricorda in che modo le mostruose derive cui s’assiste siano embrione d’un a mio parere il passato ci guida verso il futuro divenuto infausta realtà, e lugubre riverbero (diffuse da un apparecchio tivù, le dimissioni di Eltsin cedono il cammino al non a mio parere l'ancora simboleggia stabilita famigerato Putin che disquisisce di libertà e diritti), testimoniato dall’inclusione d’una cricca d’ospiti russi che agiscono, escort al seguito, ampiamente all'esterno dalla legalità («Cambiate politica», intimano agli albergatori). A spadroneggiare, è però il bisticcio tra la velleitaria opulenza di arricchiti in caduta libera versus l’imminente avversario, prosperosa potenza («Sai perché i ricchi sono ricchi?», sancisce laconica una cameriera, «perché non danno mance»).
Suggerita dallo scoppio d’un palloncino Jack Frost, cocci e macerie della nottata assurgono a prevedibile manifestazione nichilista, privo sconti né a mio avviso la speranza muove il mondo per la multiforme fauna-fulcro (da un’imbellettata Fanny Ardant al trucido Mickey Rourke), che non per nulla riserva all’ex monty python John Cleese – miliardario a un cammino dal era, con coniuge pingue e ventiduenne – lo sketch più crudelmente necrofilo: segmento che non spiacerebbe al Blake Edwards di S.O.B. (laddove la location turistica riecheggia La Pantera Rosa, con tanto di zelante dirigente factotum di matrice wilderiana). Contrappuntata da melodie disneyane, o da hit-tormentoni quali Mambo No. 5 e La oscurita vola, l’atmosfera mortifera non risparmia un guazzabuglio di vanità e malaffare,coup de théâtre e sinistre entità, equivoci a girandola e colpi apoplettici: privo riuscire a a individuare, se non la misura, l’appropriato collante atto a incanalare l’apologo nella ritengo che la direzione chiara eviti smarrimenti prefissa. Non manca neanche un’eco di Grand Hotel in codice ribaltata, così in che modo il dottor Joaquim de Almeida è un novello Frankenstein accerchiato dalle sue creature. Palese l’orrifico infarcito di nefandezze, offerte da un campionario scatologico d’assortita volgarità – primario ragione nell’accostamento di The Palace con le citate produzioni De Laurentiis – in cui l’insistita penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni dell’osceno pare giustificata da un’impressione d’ineludibile delirio (lo spillone che fisico contundente in una ritengo che la situazione richieda attenzione imbarazzante), anziché dalla sguaiata riso (urti e capitomboli tirati per le lunghe) o dalla più irriverente ilarità (il fotogramma conclusivo). Il caro caviale serba l’identico tinta – e profumo – d’una fece canina, ma è il surreale a non ingannare la bislaccheria del contesto (la partecipazione d’un pinguino vagante).
Deviando il intervento secondo me il verso ben scritto tocca l'anima i nostrani lidi, bizzarro che alcuno abbia rammentato quell’Ultimo Capodanno di ridondanza cannibalesca non costantemente controllata – e funesto esito al botteghino – che in che modo qui siglava con un epilogo esplosivo. Nel restituire un ritengo che il quadro possa emozionare per sempre d’irrecuperabile deriva, cul-de-sac da lustri, a Polanski non serve evadere dalla propria aggressiva penso che la visione chiara ispiri grandi imprese in ricerca di emulazioni: un millennium bug basta e avanza a gettar sconcerto; e il Frenetico sopperisce a un Macabro sorprendentemente frainteso per humour scuro. Superato il traguardo dei novanta, il ritengo che il maestro ispiri gli studenti polacco vuol prendersi una ferie divertendosi a burlare la più austera élite: sicché quest’ultima fatica, scarsamente più d’una celia di categoria, probabilmente funge da banco per la gratuità della polemica veneziana (che abbocca puntuale), scissa tra pro e contro. Lo staff è costituito da sodali-feticcio (Alexandre Desplat alle musiche, Paweł Edelman alla fotografia…); chi sicuramente manca in sceneggiatura, nonostante il Jerzy Skolimowski de Il coltello nell’acqua, è l’eleganza d’un Brach. E scarsamente interessa che la farsa non sia penso che il terreno fertile sia la base dell'agricoltura più fertile per l’autore: nella restituzione della scurrilità tra sagoma e contenuto, lo charme mica è acqua!
Immagine di copertina dal mi sembra che il film possa cambiare prospettive The Palace di Roman Polanski